martedì 11 marzo 2008

MESSINA 13 MARZO 1861 L´ULTIMA DIFESA IN SICILIA

Il 13 marzo del 1861 la Real Cittadella di Messina si arrendeva a discrezione
alle truppe piemontesi ("italiane" solo dal 17 marzo con la proclamazione del
Regno d'Italia) del Gen. Cialdini. Inutilmente le reali milizie duosiciliane
della 13º Direzione Artiglieria, del 2º Battaglione del Genio, del 3º, 5º e 6º
Reggimento di linea con ben 455 vetusti cannoni cercarono di controbattere il
micidiale fuoco di 43 nuovissimi cannoni rigati e 12 mortai delle truppe
savoiarde.

La guarnigione della Cittadella (piú di 4.000 uomini) non subí un trattamento
migliore di quello del suo Comandante: venne infatti internata sotto buona
scorta nei fortilizi di Scilla, Reggio Calabria e Milazzo. Alcuni suoi
ufficiali come il Col. Guillamat, il Ten. Gaeta ed il Ten. Brath vennero
addirittura imprigionati a Messina e quindi processati sotto la stupida accusa
di aver fomentato la resistenza nella Cittadella, cioè di aver fatto il loro
dovere di ufficiali fedeli alla Patria e al Re Francesco II. Accusa dalla
quale, naturalmente, con gran vergogna per i piemontesi, vennero assolti con
formula piena.

Da allora ad oggi si sono sempre onorati i garibaldini conquistatori della
Sicilia e gli oltre 10.000 piemontesi che espugnarono la Cittadella di
Messina; mentre i poveri soldati napoletani e siciliani che la difesero
eroicamente, sacrificando in 47 la loro vita in difesa della Patria, furono
vilipesi da tutti come soldati della "tirannide borbonica". perché, fu forse
meno censurabile il malgoverno piemontese che seguí a quello borbonico?
Certamente no. Ma ormai noi Siciliani siamo abituati sin dai banchi di scuola
ad adorare questi ´eroi del "risorgimento", dimenticandoci spesso che forse
tra i valorosi e non ricompensati difensori dell'ultimo baluardo patrio in
Sicilia ci fu un nostro avo.

A 140 anni di distanza, il ricordare quest'ultima battaglia costituisce un
dovere &Mac173; memoria verso la nostra radice da non dimenticare mai. Oggi i
resti della Real Cittadella di Messina, abbandonati ai vandali ed alle
costruzioni abusive, attendono pazientemente chi li restauri e voglio
fermamente sperare che la nostra indifferenza non ci faccia perdere
irrimediabilmente questo inestimabile patrimonio storico e che finalmente le
autorità competenti, dopo tante belle ma inutili parole, facciano seriamente
qualcosa di concreto.

UNA SCONOSCIUTA EROICA RESISTENZA

La Cittadella di Messina rappresentò l'estrema resistenza duosiciliana in
Sicilia, dove i nostri soldati, pur sapendo della inutilità di ogni loro
sforzo, cercarono di difendere la Patria, e dimostrare la loro fedeltà al Re
Francesco II contro gli invasori piemontesi. Dimostrarono, infatti, con le
loro gesta che il soldato duosiciliano sapeva combattere e morire per un
ideale, in contrapposizione ai tanti tradimenti e vili defezioni.

Il 27 luglio del 1860 circa 2.500 garibaldini con alla testa Medici e Fabrizi
entravano in Messina, mentre il Gen. Clary, al comando di piú di 15.000
uomini, obbedendo agli ordini del Gen. Pianell, ministro della guerra delle
Due Sicilie, ordinava alle sue truppe di ritirarsi nella Cittadella, da dove,
sempre per ordine del Pianell, ne faceva imbarcare per la Calabria circa
11.000, trattenendone poco piú di 4.000 per la difesa della Cittadella stessa,
contravvenendo con ciò agli ordini perentori ricevuti. Questa fu la sua
testimonianza diretta: ´... Il 21 luglio un ordine formale del ministro
Pianell m'ingiungeva di ritirare le mie truppe in Calabria, e di cedere armati
i due forti di Castellaccio e Gonzaga a Garibaldi; non bastando ciò, io dovevo
cedere a questo capo Siracusa, Augusta e la stessa cittadella di Messina,
attendendosi diceva l'ordine del ministro, che a questo prezzo le potenze
dell'Europa consentissero a garantirci la pace nel continente ... Sugli ordini
reiterati del ministro Pianell (che serví poi con i gradi di generale
l'esercito di V. Emanuele II, ndr) ... io consentii di entrare in rapporti con
il signor Garibaldi, e per conseguenza con il maggior generale Medici, al fine
di convenire con loro il modo d'evacuazione della città di Messina dalle
truppe reali ... La Storia ... renderà, io spero, un conto esatto della
condotta del ministro Pianell in tutti i suoi affari disastrosi, essa dirà
come egli ha impedito che noi soccorressimo Milazzo; come per i suoi ordini io
fui costantemente forzato a rinunciare a tutti i piani di aggressione, per
tenermi in ontosa e letargica aspettativa. Come e per quali combinazioni
perfide, mi fa mancare tutte le risorse di cui un generale ha bisogno in
faccia al nemico che egli deve combattere, quella era la volontà del ministro,
e ciò che lo prova, è che egli aveva incaricato il colonnello di stato
maggiore Anzani di capitolare con Garibaldi; e di comprendere in questa
capitolazione le truppe che il gen. Clary aveva sotto i suoi ordini ....

Lo stesso giorno, intanto, alle 3 p.m. giunse Garibaldi da Milazzo. Il 28
luglio giunse anche a Messina, proveniente da Catania, Cosenz con altri 5.000
garibaldini e il gen. Clary firmò una convenzione per la cessione della città
di Messina. Qualche giorno dopo, non avendo voluto cedere la Cittadella a
Garibaldi, come gli era stato intimato da Pianell, il Clary fu sollevato
dall'incarico di comandante della Cittadella e il 9 agosto s'imbarcò per
Napoli.

Partito Clary dalla Cittadella e rimasto investito del supremo comando il gen.
Fergola (che l'8 ottobre venne elevato al grado di Maresciallo di campo da Re
Francesco II), la convenzione precedentemente firmata dal Clary e dal Medici
regolò i rapporti fra la Cittadella e la città di Messina, in mano ai
garibaldini, fino alla caduta di Gaeta.

A Messina si trovava dal 19 dicembre la Brigata piemontese "Pistoia" (35º e
36º reggimento di fanteria), per un totale di 109 ufficiali e 3.867 soldati
agli ordini del gen. Chiabrera, che si era avvicendata con i garibaldini. Il
Chiabrera, che in due mesi non aveva preso alcuna iniziativa militare, il 14
febbraio avvertí il gen. Fergola della resa di Gaeta e lo invitò a sua volta
ad arrendersi, alle stesse onorevoli condizioni di Gaeta. Fergola respinse
l'invito.

Dopo quest'ultimo rifiuto, il 27 febbraio giunse a Messina il gen. Cialdini
con quattro battaglioni bersaglieri del IV Corpo, 6 compagnie del genio, un
reggimento di fanteria e con l'artiglieria forte di 43 nuovissimi cannoni
rigati e 12 mortai. L'arrivo inaspettato di queste truppe provocò
l'indignazione del gen. Fergola che vide la convenzione non rispettata, ma al
risentimento di Fergola il Cialdini rispose: ´... io non vi considererò piú
come un militare, ma come un vile assassino ...ª.

Il primo marzo, alle cinque pomeridiane, l'armistizio che durava da piú di
sette mesi cessò e iniziarono le ostilità. I piemontesi per prima cosa
sistemarono sei batterie: ai Gemelli, al Cimitero, al Bastione Segreto, al
Noviziato, a S. Cecilia e a S. Elia. Nello stesso giorno dal porto di Messina
si allontanò una fregata francese, mentre erano ancora in sosta navi americane
e inglesi. Il 5 marzo iniziò il blocco totale della cittadella. Il 6 marzo si
allontanarono dal porto di Messina anche le navi inglesi e l'8 marzo Fergola
iniziò a sparare contro le opere d'assedio piemontesi.

Il 10 marzo giunse da Roma una lettera del Re Francesco II al gen. Fergola che
lo autorizzava a desistere dalla resistenza, ma l'intrepido Fergola il giorno
dopo fece cannoneggiare anche le batterie piemontesi poste al Noviziato, che
era la parte piú vicina alla città. Il giorno successivo, mentre tutti i
cannoni duosiciliani sparavano contro i lavori d'assedio piemontesi, alle otto
precise Fergola diede ordine di tentare una sortita dal Forte Don Blasco, ma
l'azione fu arrestata sia dalla reazione dei bersaglieri piemontesi, sia dalla
concentrazione di tutto il fuoco nemico sullo stesso forte Don Blasco, che era
il fortino piú avanzato della Cittadella.

La potenza e la doppia gittata dei cannoni rigati piemontesi ridussero ad un
cumulo di macerie in poco tempo il fortino, che venne sgombrato dai nostri e
subito occupato dai piemontesi. Il gran deposito Norimbergh (pieno di polvere
da sparo), centrato piú volte, prese fuoco, rischiando di saltare in aria.
Anche la zona della Cittadella, dove erano ricoverati oltre 1.000 civili (per
lo piú donne e bambini), subí un barbaro cannoneggiamento.

Da parte nostra si cercò di allungare il tiro dei vecchi cannoni (alcuni
avevano circa 150 anni di vita), interrandone una parte, ma perdendo cosí la
facoltà di mirare. Ma tutto fu inutile: la schiacciante superiorità
dell'artiglieria nemica costrinse presto al silenzio i nostri cannoni. Il gen.
Fergola, nonostante la drammatica situazione, si astenne dal bombardare, per
motivi umanitari, dal Forte S. Salvatore (dove oggi sorge la Madonnina
benedicente Messina) e dalla Cittadella, la città di Messina dove si trovavano
le truppe piemontesi e concentrò fino alla resa l'inutile fuoco dei suoi
cannoni sulle irraggiungibili batterie piemontesi. Anche dal mare le navi
piemontesi Vittorio Emanuele e Carlo Alberto spararono molte salve, ma senza
arrecare alcun danno, perché il Persano se ne stava prudentemente ben lontano.
Alle 5 del pomeriggio, la Cittadella ormai ridotta al silenzio alzò bandiera
bianca e alle 9 si arrese a discrezione.

Il 13 marzo alle 7 del mattino Cialdini alla testa del 35º fanteria con musica
e bandiera fece il suo ingresso "trionfale" nella Cittadella di Messina,
dichiarando "prigioniera" la guarnigione duosiciliana. La resa fu firmata a
bordo della nave Maria Adelaide. L'ottuso gen. Cialdini non concesse neppure
l'onore delle armi ai vinti che avevano fatto il loro dovere fino alla fine ed
anzi al momento della resa respinse sdegnosamente la spada dell'anziano Gen.
Fergola e gli disse in francese: ´Vous n'ètès pas des italiens, Je vous
cracherais sour le visage ...! (Vi sputerei in faccia). Frase che fece morire
di crepacuore a Napoli qualche anno dopo il povero Fergola.

La cavalleria d'altri tempi dimostrata dal Fergola fu cosí ripagata dal
Cialdini, che del resto aveva già dimostrato di essere lui un "buon italiano"
bombardando vigliaccamente con i famigerati cannoni rigati il borgo di Gaeta e
mietendo la vita di migliaia di innocenti, "colpevoli" soltanto di essere
rimasti fedeli alla Patria e al Re.

Francesco II, dal suo esilio di Roma, ammirato dal coraggio e dalla fedeltà
dimostrata dai suoi soldati a Messina, concesse loro una medaglia in argento,
appositamente coniata a Roma.

Questo fu l'addio inviato da Fergola alle sue truppe alle ore 11 di sera del
giorno 12 marzo:
(lo riportiamo fedelmente come fu scritto)

"Uffiziali, Sottouffiziali e Soldati, è questo l'ultimo ordine che io vi
rivolgo, e la mano mi trema nel vergarlo. Allorchè presi il comando di questa
Fortezza e di voi tutti, sacro giurammo di difendere fino agli estremi questo
interessante sito fortificato che la Maestà del Re (N.S.) aveva affidato al
nostro onore e alla nostra fedeltà. Avete ben veduto che tutti abbiamo
mantenuto il giuramento, serbando fedeltà, attaccamento e devozione al nostro
amatissimo sovrano Francesco II. Immensi sono stati gli sforzi che per lo
spazio di cinque giorni si son fatti colle nostre artiglierie per distruggere
i lavori di attacco che il nemico costruiva sulle alture della città di
Messina ed in altri siti ancora, ma poco effetto à provocato il nostro fuoco,
sí perché quasi tutti i lavori erano al di là della portata delle nostre
artiglierie, sí perché altri trovavansi mascherati da casamenti ed oggetti
occasionali. Quindi l'inimico profittando di tali suoi vantaggi à compiuto
inosservato la maggior parte dei suoi lavori. Poco dopo il mezzo giorno di
oggi e precisamente quando estenuati di forze prendevate un po' di ristoro, à
aperto simultaneamente un fuoco formidabile contro questa Real Cittadella, che
l'à ridotta in poche ore nello stato in cui si ravvisa, ad onta di quella
resistenza che si è potuta fare colle nostre artiglierie di una portata molto
inferiore a quella delle sue. Veduto dunque che inutile si rendeva qualunque
altro nostro mezzo di difesa, e che eravamo a causa dello incendio
sviluppatosi minacciati da una sicura esplosione della gran polveriera
Norimbergh e suo magazzino attiguo anche pieno di polvere, se non vi si
apportava un pronto rimedio, è chiesta per ben due volte per mezzo di
parlamentari una tregua al nemico per la durata di 24 ore. Ma vedendo egli di
quanto aveva col suo fuoco prodotto di danno e della trista posizione in cui
eravamo, à rigettato la mia domanda, e mi ha fatto sentire che dovevamo
renderci a discrezione, e che se a tanto non divenivamo e non gli si dava
risposta decisiva per le ore 9 della sera, avrebbe riaperto il fuoco con
l'aggiunta di altre batterie che ancora non erano punto a vista della
fortezza. In tale stato di cose, riunito il consiglio di difesa e sentitone
anche il parere, è stato forza sottoporci a quanto il nemico imponeva. Quindi
mio malgrado e vostro, domani la Piazza sarà resa. Cosí non avrei giammai
ceduto, ma gli incendi che seco noi minacciavano 1000 e piú tra donne e
fanciulli mal ricoverati, e che vi si appartengono, e la nostra eccezionale
posizione, perché le potenze europee àn permesso una aggressione non mai letta
nelle istorie, e noi da chicchessia sperar non potevamo soccorso di sorte, mi
ànno obbligato a cedere. Cediamo alla forza perché sopraffatti dalla
superiorità dei mezzi e non dal valore dei vincitori. Certo che la nostra
resistenza non avrebbe salvata la Monarchia, sagrificata con la resa di Gaeta;
non ci restava che salvar solo l'onore militare e nazionale: e mi lusingo che
lo stesso nemico ci farà giustizia di concedercene l'orgoglio, come spero che
voi me la farete: nel convenire d'aver visto con voi fino all'ultimo i disagi,
le privazioni, ed i pericoli. Un dovere però mi resta a compiere ed è quello
di esternare a voi tutti i miei sentiti e distinti ringraziamenti per aver
saputo ognuno cosí bene secondare le mie vedute nel difendere questa Real
Cittadella, ove rinchiusi per circa 8 mesi abbiamo dato le piú grandi prove di
abnegazione e di fedeltà al nostro Augusto Sovrano Francesco II. Se l'abbiano
particolarmente però i signori generali De Martino, Combianchi ed Anguissola,
Ten. Col. Recco, Capitani Lamonica, Di Gennaro e Lauria; e fra tutti il mio
capo di stato maggiore ed Uffiziali dello stesso signor Ten. Col. Guillamat,
Capitano Cavalieri e Subalterni Gaeta e Brath. Io vi ringrazio tutti di cuore,
poichè tutti avete gareggiato nella difesa della rocca. Accettate tutti vi
prego tali miei ringraziamenti che partono da un cuore leale e riconoscente.
Miei bravi compagni d'armi, nella mia lunga carriera militare di 47 anni ò
veduto diverse peripezie non dissimili alla presente, ma però la provvidenza o
presto o tardi ha fatto sempre rilucere la sua giustizia quando meno si
attendeva, per cui non ci perdiamo d'animo, e confidando in essa auguriamoci
giorni piú felici, i quali compenseranno i tristi e dolorosi che abbiamo
sofferti. Mi avevo prefisso di porre ai piedi del Real Trono le mie umili
suppliche per chiedere alla munificenza Sovrana un compenso speciale al vostro
attaccamento, alla vostra sperimentata fedeltà, ma la sorte avversa delle armi
me lo à impedito e con dolore mi divido da voi tutti, ma porterò scolpito
profondamente nell'anima mia la rimembranza di voi, della vostra fede. Della
vostra lealtà, del vostro militare coraggio. Non so quale sarà il mio destino
ed il vostro in avvenire, ma se la mia età mi permetterà in seguito potervi
rivedere, sarà sempre una vera gioia per me poter stringere la mano a qualcuno
dei difensori di questa Real Fortezza, ai quali nè le minacce, nè i pericoli,
nè le lusinghe, nè i pravi esempi, nè men la morte seppe far declinare da
quella via d'onore che solo è sprone e ricompensa al prode che pel suo Re
combatte per vincere o morire. Addio miei bravi camerati! Addio! La sventura
ci divide, fede e lealtà fu la nostra divisa, e questa non si spogli giammai
da noi, ciascuno di voi porti scolpita in core la nobile parola, che l'univa
con nodo indissolubile al nostro sventurato, ma eroico sovrano. Fergola 12
MARZO 1861"

Il 14 marzo, essendo state richieste piú volte da Torino le bandiere della
Real Cittadella, il gen. Fergola rilasciò una dichiarazione nella quale
affermava che avrebbero dovuto essere sei, ma che di esse non restavano che le
aste essendo stati strappati i drappi dalle truppe quale ultimo gesto di
fedeltà al Re Francesco II.
Mario Monari
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Dietro permesso di
Antonio Pagano
Direttore periodico Le Due Sicilie
(vedi la rivista QUI)

MESSINA 13 MARZO 1861 L´ULTIMA DIFESA IN SICILIA

Il 13 marzo del 1861 la Real Cittadella di Messina si arrendeva a discrezione
alle truppe piemontesi ("italiane" solo dal 17 marzo con la proclamazione del
Regno d'Italia) del Gen. Cialdini. Inutilmente le reali milizie duosiciliane
della 13º Direzione Artiglieria, del 2º Battaglione del Genio, del 3º, 5º e 6º
Reggimento di linea con ben 455 vetusti cannoni cercarono di controbattere il
micidiale fuoco di 43 nuovissimi cannoni rigati e 12 mortai delle truppe
savoiarde.

La guarnigione della Cittadella (piú di 4.000 uomini) non subí un trattamento
migliore di quello del suo Comandante: venne infatti internata sotto buona
scorta nei fortilizi di Scilla, Reggio Calabria e Milazzo. Alcuni suoi
ufficiali come il Col. Guillamat, il Ten. Gaeta ed il Ten. Brath vennero
addirittura imprigionati a Messina e quindi processati sotto la stupida accusa
di aver fomentato la resistenza nella Cittadella, cioè di aver fatto il loro
dovere di ufficiali fedeli alla Patria e al Re Francesco II. Accusa dalla
quale, naturalmente, con gran vergogna per i piemontesi, vennero assolti con
formula piena.

Da allora ad oggi si sono sempre onorati i garibaldini conquistatori della
Sicilia e gli oltre 10.000 piemontesi che espugnarono la Cittadella di
Messina; mentre i poveri soldati napoletani e siciliani che la difesero
eroicamente, sacrificando in 47 la loro vita in difesa della Patria, furono
vilipesi da tutti come soldati della "tirannide borbonica". perché, fu forse
meno censurabile il malgoverno piemontese che seguí a quello borbonico?
Certamente no. Ma ormai noi Siciliani siamo abituati sin dai banchi di scuola
ad adorare questi ´eroi del "risorgimento", dimenticandoci spesso che forse
tra i valorosi e non ricompensati difensori dell'ultimo baluardo patrio in
Sicilia ci fu un nostro avo.

A 140 anni di distanza, il ricordare quest'ultima battaglia costituisce un
dovere &Mac173; memoria verso la nostra radice da non dimenticare mai. Oggi i
resti della Real Cittadella di Messina, abbandonati ai vandali ed alle
costruzioni abusive, attendono pazientemente chi li restauri e voglio
fermamente sperare che la nostra indifferenza non ci faccia perdere
irrimediabilmente questo inestimabile patrimonio storico e che finalmente le
autorità competenti, dopo tante belle ma inutili parole, facciano seriamente
qualcosa di concreto.

UNA SCONOSCIUTA EROICA RESISTENZA

La Cittadella di Messina rappresentò l'estrema resistenza duosiciliana in
Sicilia, dove i nostri soldati, pur sapendo della inutilità di ogni loro
sforzo, cercarono di difendere la Patria, e dimostrare la loro fedeltà al Re
Francesco II contro gli invasori piemontesi. Dimostrarono, infatti, con le
loro gesta che il soldato duosiciliano sapeva combattere e morire per un
ideale, in contrapposizione ai tanti tradimenti e vili defezioni.

Il 27 luglio del 1860 circa 2.500 garibaldini con alla testa Medici e Fabrizi
entravano in Messina, mentre il Gen. Clary, al comando di piú di 15.000
uomini, obbedendo agli ordini del Gen. Pianell, ministro della guerra delle
Due Sicilie, ordinava alle sue truppe di ritirarsi nella Cittadella, da dove,
sempre per ordine del Pianell, ne faceva imbarcare per la Calabria circa
11.000, trattenendone poco piú di 4.000 per la difesa della Cittadella stessa,
contravvenendo con ciò agli ordini perentori ricevuti. Questa fu la sua
testimonianza diretta: ´... Il 21 luglio un ordine formale del ministro
Pianell m'ingiungeva di ritirare le mie truppe in Calabria, e di cedere armati
i due forti di Castellaccio e Gonzaga a Garibaldi; non bastando ciò, io dovevo
cedere a questo capo Siracusa, Augusta e la stessa cittadella di Messina,
attendendosi diceva l'ordine del ministro, che a questo prezzo le potenze
dell'Europa consentissero a garantirci la pace nel continente ... Sugli ordini
reiterati del ministro Pianell (che serví poi con i gradi di generale
l'esercito di V. Emanuele II, ndr) ... io consentii di entrare in rapporti con
il signor Garibaldi, e per conseguenza con il maggior generale Medici, al fine
di convenire con loro il modo d'evacuazione della città di Messina dalle
truppe reali ... La Storia ... renderà, io spero, un conto esatto della
condotta del ministro Pianell in tutti i suoi affari disastrosi, essa dirà
come egli ha impedito che noi soccorressimo Milazzo; come per i suoi ordini io
fui costantemente forzato a rinunciare a tutti i piani di aggressione, per
tenermi in ontosa e letargica aspettativa. Come e per quali combinazioni
perfide, mi fa mancare tutte le risorse di cui un generale ha bisogno in
faccia al nemico che egli deve combattere, quella era la volontà del ministro,
e ciò che lo prova, è che egli aveva incaricato il colonnello di stato
maggiore Anzani di capitolare con Garibaldi; e di comprendere in questa
capitolazione le truppe che il gen. Clary aveva sotto i suoi ordini ....

Lo stesso giorno, intanto, alle 3 p.m. giunse Garibaldi da Milazzo. Il 28
luglio giunse anche a Messina, proveniente da Catania, Cosenz con altri 5.000
garibaldini e il gen. Clary firmò una convenzione per la cessione della città
di Messina. Qualche giorno dopo, non avendo voluto cedere la Cittadella a
Garibaldi, come gli era stato intimato da Pianell, il Clary fu sollevato
dall'incarico di comandante della Cittadella e il 9 agosto s'imbarcò per
Napoli.

Partito Clary dalla Cittadella e rimasto investito del supremo comando il gen.
Fergola (che l'8 ottobre venne elevato al grado di Maresciallo di campo da Re
Francesco II), la convenzione precedentemente firmata dal Clary e dal Medici
regolò i rapporti fra la Cittadella e la città di Messina, in mano ai
garibaldini, fino alla caduta di Gaeta.

A Messina si trovava dal 19 dicembre la Brigata piemontese "Pistoia" (35º e
36º reggimento di fanteria), per un totale di 109 ufficiali e 3.867 soldati
agli ordini del gen. Chiabrera, che si era avvicendata con i garibaldini. Il
Chiabrera, che in due mesi non aveva preso alcuna iniziativa militare, il 14
febbraio avvertí il gen. Fergola della resa di Gaeta e lo invitò a sua volta
ad arrendersi, alle stesse onorevoli condizioni di Gaeta. Fergola respinse
l'invito.

Dopo quest'ultimo rifiuto, il 27 febbraio giunse a Messina il gen. Cialdini
con quattro battaglioni bersaglieri del IV Corpo, 6 compagnie del genio, un
reggimento di fanteria e con l'artiglieria forte di 43 nuovissimi cannoni
rigati e 12 mortai. L'arrivo inaspettato di queste truppe provocò
l'indignazione del gen. Fergola che vide la convenzione non rispettata, ma al
risentimento di Fergola il Cialdini rispose: ´... io non vi considererò piú
come un militare, ma come un vile assassino ...ª.

Il primo marzo, alle cinque pomeridiane, l'armistizio che durava da piú di
sette mesi cessò e iniziarono le ostilità. I piemontesi per prima cosa
sistemarono sei batterie: ai Gemelli, al Cimitero, al Bastione Segreto, al
Noviziato, a S. Cecilia e a S. Elia. Nello stesso giorno dal porto di Messina
si allontanò una fregata francese, mentre erano ancora in sosta navi americane
e inglesi. Il 5 marzo iniziò il blocco totale della cittadella. Il 6 marzo si
allontanarono dal porto di Messina anche le navi inglesi e l'8 marzo Fergola
iniziò a sparare contro le opere d'assedio piemontesi.

Il 10 marzo giunse da Roma una lettera del Re Francesco II al gen. Fergola che
lo autorizzava a desistere dalla resistenza, ma l'intrepido Fergola il giorno
dopo fece cannoneggiare anche le batterie piemontesi poste al Noviziato, che
era la parte piú vicina alla città. Il giorno successivo, mentre tutti i
cannoni duosiciliani sparavano contro i lavori d'assedio piemontesi, alle otto
precise Fergola diede ordine di tentare una sortita dal Forte Don Blasco, ma
l'azione fu arrestata sia dalla reazione dei bersaglieri piemontesi, sia dalla
concentrazione di tutto il fuoco nemico sullo stesso forte Don Blasco, che era
il fortino piú avanzato della Cittadella.

La potenza e la doppia gittata dei cannoni rigati piemontesi ridussero ad un
cumulo di macerie in poco tempo il fortino, che venne sgombrato dai nostri e
subito occupato dai piemontesi. Il gran deposito Norimbergh (pieno di polvere
da sparo), centrato piú volte, prese fuoco, rischiando di saltare in aria.
Anche la zona della Cittadella, dove erano ricoverati oltre 1.000 civili (per
lo piú donne e bambini), subí un barbaro cannoneggiamento.

Da parte nostra si cercò di allungare il tiro dei vecchi cannoni (alcuni
avevano circa 150 anni di vita), interrandone una parte, ma perdendo cosí la
facoltà di mirare. Ma tutto fu inutile: la schiacciante superiorità
dell'artiglieria nemica costrinse presto al silenzio i nostri cannoni. Il gen.
Fergola, nonostante la drammatica situazione, si astenne dal bombardare, per
motivi umanitari, dal Forte S. Salvatore (dove oggi sorge la Madonnina
benedicente Messina) e dalla Cittadella, la città di Messina dove si trovavano
le truppe piemontesi e concentrò fino alla resa l'inutile fuoco dei suoi
cannoni sulle irraggiungibili batterie piemontesi. Anche dal mare le navi
piemontesi Vittorio Emanuele e Carlo Alberto spararono molte salve, ma senza
arrecare alcun danno, perché il Persano se ne stava prudentemente ben lontano.
Alle 5 del pomeriggio, la Cittadella ormai ridotta al silenzio alzò bandiera
bianca e alle 9 si arrese a discrezione.

Il 13 marzo alle 7 del mattino Cialdini alla testa del 35º fanteria con musica
e bandiera fece il suo ingresso "trionfale" nella Cittadella di Messina,
dichiarando "prigioniera" la guarnigione duosiciliana. La resa fu firmata a
bordo della nave Maria Adelaide. L'ottuso gen. Cialdini non concesse neppure
l'onore delle armi ai vinti che avevano fatto il loro dovere fino alla fine ed
anzi al momento della resa respinse sdegnosamente la spada dell'anziano Gen.
Fergola e gli disse in francese: ´Vous n'ètès pas des italiens, Je vous
cracherais sour le visage ...! (Vi sputerei in faccia). Frase che fece morire
di crepacuore a Napoli qualche anno dopo il povero Fergola.

La cavalleria d'altri tempi dimostrata dal Fergola fu cosí ripagata dal
Cialdini, che del resto aveva già dimostrato di essere lui un "buon italiano"
bombardando vigliaccamente con i famigerati cannoni rigati il borgo di Gaeta e
mietendo la vita di migliaia di innocenti, "colpevoli" soltanto di essere
rimasti fedeli alla Patria e al Re.

Francesco II, dal suo esilio di Roma, ammirato dal coraggio e dalla fedeltà
dimostrata dai suoi soldati a Messina, concesse loro una medaglia in argento,
appositamente coniata a Roma.

Questo fu l'addio inviato da Fergola alle sue truppe alle ore 11 di sera del
giorno 12 marzo:
(lo riportiamo fedelmente come fu scritto)

"Uffiziali, Sottouffiziali e Soldati, è questo l'ultimo ordine che io vi
rivolgo, e la mano mi trema nel vergarlo. Allorchè presi il comando di questa
Fortezza e di voi tutti, sacro giurammo di difendere fino agli estremi questo
interessante sito fortificato che la Maestà del Re (N.S.) aveva affidato al
nostro onore e alla nostra fedeltà. Avete ben veduto che tutti abbiamo
mantenuto il giuramento, serbando fedeltà, attaccamento e devozione al nostro
amatissimo sovrano Francesco II. Immensi sono stati gli sforzi che per lo
spazio di cinque giorni si son fatti colle nostre artiglierie per distruggere
i lavori di attacco che il nemico costruiva sulle alture della città di
Messina ed in altri siti ancora, ma poco effetto à provocato il nostro fuoco,
sí perché quasi tutti i lavori erano al di là della portata delle nostre
artiglierie, sí perché altri trovavansi mascherati da casamenti ed oggetti
occasionali. Quindi l'inimico profittando di tali suoi vantaggi à compiuto
inosservato la maggior parte dei suoi lavori. Poco dopo il mezzo giorno di
oggi e precisamente quando estenuati di forze prendevate un po' di ristoro, à
aperto simultaneamente un fuoco formidabile contro questa Real Cittadella, che
l'à ridotta in poche ore nello stato in cui si ravvisa, ad onta di quella
resistenza che si è potuta fare colle nostre artiglierie di una portata molto
inferiore a quella delle sue. Veduto dunque che inutile si rendeva qualunque
altro nostro mezzo di difesa, e che eravamo a causa dello incendio
sviluppatosi minacciati da una sicura esplosione della gran polveriera
Norimbergh e suo magazzino attiguo anche pieno di polvere, se non vi si
apportava un pronto rimedio, è chiesta per ben due volte per mezzo di
parlamentari una tregua al nemico per la durata di 24 ore. Ma vedendo egli di
quanto aveva col suo fuoco prodotto di danno e della trista posizione in cui
eravamo, à rigettato la mia domanda, e mi ha fatto sentire che dovevamo
renderci a discrezione, e che se a tanto non divenivamo e non gli si dava
risposta decisiva per le ore 9 della sera, avrebbe riaperto il fuoco con
l'aggiunta di altre batterie che ancora non erano punto a vista della
fortezza. In tale stato di cose, riunito il consiglio di difesa e sentitone
anche il parere, è stato forza sottoporci a quanto il nemico imponeva. Quindi
mio malgrado e vostro, domani la Piazza sarà resa. Cosí non avrei giammai
ceduto, ma gli incendi che seco noi minacciavano 1000 e piú tra donne e
fanciulli mal ricoverati, e che vi si appartengono, e la nostra eccezionale
posizione, perché le potenze europee àn permesso una aggressione non mai letta
nelle istorie, e noi da chicchessia sperar non potevamo soccorso di sorte, mi
ànno obbligato a cedere. Cediamo alla forza perché sopraffatti dalla
superiorità dei mezzi e non dal valore dei vincitori. Certo che la nostra
resistenza non avrebbe salvata la Monarchia, sagrificata con la resa di Gaeta;
non ci restava che salvar solo l'onore militare e nazionale: e mi lusingo che
lo stesso nemico ci farà giustizia di concedercene l'orgoglio, come spero che
voi me la farete: nel convenire d'aver visto con voi fino all'ultimo i disagi,
le privazioni, ed i pericoli. Un dovere però mi resta a compiere ed è quello
di esternare a voi tutti i miei sentiti e distinti ringraziamenti per aver
saputo ognuno cosí bene secondare le mie vedute nel difendere questa Real
Cittadella, ove rinchiusi per circa 8 mesi abbiamo dato le piú grandi prove di
abnegazione e di fedeltà al nostro Augusto Sovrano Francesco II. Se l'abbiano
particolarmente però i signori generali De Martino, Combianchi ed Anguissola,
Ten. Col. Recco, Capitani Lamonica, Di Gennaro e Lauria; e fra tutti il mio
capo di stato maggiore ed Uffiziali dello stesso signor Ten. Col. Guillamat,
Capitano Cavalieri e Subalterni Gaeta e Brath. Io vi ringrazio tutti di cuore,
poichè tutti avete gareggiato nella difesa della rocca. Accettate tutti vi
prego tali miei ringraziamenti che partono da un cuore leale e riconoscente.
Miei bravi compagni d'armi, nella mia lunga carriera militare di 47 anni ò
veduto diverse peripezie non dissimili alla presente, ma però la provvidenza o
presto o tardi ha fatto sempre rilucere la sua giustizia quando meno si
attendeva, per cui non ci perdiamo d'animo, e confidando in essa auguriamoci
giorni piú felici, i quali compenseranno i tristi e dolorosi che abbiamo
sofferti. Mi avevo prefisso di porre ai piedi del Real Trono le mie umili
suppliche per chiedere alla munificenza Sovrana un compenso speciale al vostro
attaccamento, alla vostra sperimentata fedeltà, ma la sorte avversa delle armi
me lo à impedito e con dolore mi divido da voi tutti, ma porterò scolpito
profondamente nell'anima mia la rimembranza di voi, della vostra fede. Della
vostra lealtà, del vostro militare coraggio. Non so quale sarà il mio destino
ed il vostro in avvenire, ma se la mia età mi permetterà in seguito potervi
rivedere, sarà sempre una vera gioia per me poter stringere la mano a qualcuno
dei difensori di questa Real Fortezza, ai quali nè le minacce, nè i pericoli,
nè le lusinghe, nè i pravi esempi, nè men la morte seppe far declinare da
quella via d'onore che solo è sprone e ricompensa al prode che pel suo Re
combatte per vincere o morire. Addio miei bravi camerati! Addio! La sventura
ci divide, fede e lealtà fu la nostra divisa, e questa non si spogli giammai
da noi, ciascuno di voi porti scolpita in core la nobile parola, che l'univa
con nodo indissolubile al nostro sventurato, ma eroico sovrano. Fergola 12
MARZO 1861"

Il 14 marzo, essendo state richieste piú volte da Torino le bandiere della
Real Cittadella, il gen. Fergola rilasciò una dichiarazione nella quale
affermava che avrebbero dovuto essere sei, ma che di esse non restavano che le
aste essendo stati strappati i drappi dalle truppe quale ultimo gesto di
fedeltà al Re Francesco II.
Mario Monari
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Dietro permesso di
Antonio Pagano
Direttore periodico Le Due Sicilie
(vedi la rivista QUI)

ACCORDO COMITATI DELLE DUE SICILIE CON IL MOVIMENTO PER L´AUTONOMIA

(ASCA) - Napoli, 7 mar - Il Movimento dei Comitati delle due Sicilie annuncia l'accordo con il Movimento per l'Autonomia. Candidati dei Comitati saranno presenti nelle liste dell'Mpa in Campania ed in Puglia. Lo riferisce un comunicato.
Al Senato in Campania sara' candidato Giuseppe Vozza, ex consigliere comunale di Caserta e presidente nazionale dei Comitati. Nel collegio Campania 1 sara' candidato Pasquale Pollio, gia' candidato al consiglio comunale di Napoli e coordinatore dei Comitati. Nel collegio Campania 2 il candidato sara' Fiore Marro, segretario dei Comitati. In Puglia si candideranno Elio Spina al Senato e Francesco Rocciola alla Camera.
'Da anni siamo la voce vera del Meridione e portiamo avanti una battaglia, spesso solitaria, per la tutela dell'identita' del Mezzogiorno. Per questo l'Mpa appare la nostra naturale collocazione, il luogo politico dove meglio poter esprimere il nostro progetto politico e culturale' spiegano gli esponenti dei Comitati. L'Mpa vanta in Campania il consigliere regionale Antonio Milo (ex Udc successivamente transitato nell'Italia di Mezzo di Follini), secondo cui 'l'adesione del Movimento dei Comitati delle due Sicilie ci inorgoglisce e conferma la bonta' del nostro progetto. Il Movimento per l'Autonomia punta a rappresentare il Mezzogiorno ed i suoi problemi, quelle emergenze che da troppi anni stanno stagnando e che, lentamente ma inesorabilmente, si stanno allontanando dai tavoli programmatici dei partiti centrali'.